Perciò per il 2009 ho deciso di cogliere al volo una proposta apparsa a inizio anno proprio sul giornalino della FIVL: un tour della Giordania.
Non conoscevo il paese, se non dalle cronache, non conoscevo l’organizzatore se non via mail. Non sapevo nulla di nulla: è stato un puro affidarsi al caso e alla provvidenza, un impulso. Ed è andata bene, caspita se è andata bene!!!
Ma partiamo dall’inizio. Chiedo un preventivo del viaggio a David, l’organizzatore locale, e i prezzi dei biglietti aerei alla nostra agenzia di fiducia (grazie Roberto!), mando gli inviti e in breve raggiungo il numero di partecipanti previsti, non molti per evitare problemi di permessi e simili. Non resta che contare i giorni alla partenza.
Domenica 20 settembre ci troviamo in aeroporto a Venezia, siamo in otto: io, Nadia, Cristina, Massimo, Michele, Stefano, Patrizia (che ha sostituito all’ultimo Loris, infortunato e convalescente) e Vladi .
All’arrivo in aeroporto di Amman ci accoglie un omone alto dagli occhi simpatici. Si chiama Rami e ci porge il primo degli innumerevoli “Welcome in Jordan” che riceveremo in questi giorni. E’ sera, ci trasferiamo in hotel e poi un breve giro per le strade. Siamo alla fine del Ramadan e molti negozi e locali sono chiusi, un po’ come da noi a Natale. In più siamo in periferia (Amman somiglia vagamente a Roma come “struttura”), non c’è molto da vedere e siamo stanchi. Riusciamo comunque a trovare una via affollata e a comprare un po’ di frutta secca e cioccolata per il viaggio dell’indomani… ma i cartocci non arriveranno nemmeno in hotel.
La mattina dopo troviamo David che ci aspetta alla reception, sarà lui in persona (assieme a Rami) a farci da autista e guida per questa settimana. E’ francese, organizza tour “sportivi” (trekking, mountain bike… ) e sta imparando a volare in parapendio: ne approfitterà per un po’ di lezioni extra. Scopriamo che ha anche vissuto per un paio d’anni in Italia e così, dopo aver passato noi qualche ora a cercare di parlare inglese, finisce che convinciamo lui a fare un ripasso di italiano, che può sempre servire 😉
Quando lasciamo Amman, diretti a sud, sta piovendo e l’atmosfera è cupa. Sarà mica una settimana di acqua? Eppure avevo prenotato il bel tempo… Pochi km ed esce il sole: non ci abbandonerà più per tutto il viaggio. Dopo un’ora di macchina arriviamo a un grande canyon che ci attraversa la strada, è profondo in quel punto 6/700 m, largo qualche migliaio e corre verso il Mar Morto a ovest per circa 30 km. Un posto che pare perfetto per volare, ci sono già dei rondoni che fanno dinamica. Però forse siamo ancora rinc… dal viaggio, forse pensiamo alla pioggia lasciata pochi km indietro, forse crediamo “se questo è l’inizio, chissà il resto…” e così dopo una breve sosta e qualche foto, tiriamo dritto. Sarà l’unico “errore” del viaggio, perchè un posto e delle condizioni così non le troveremo più e non ci sarà tempo per tornarci. Ma è davvero l’unico piccolo motivo di rammarico e comunque sul momento non ci badiamo minimamente. Arriviamo in un altro decollo però il vento è storto. Nessun problema, dice David, si fa acquatrekking. E’ una sorta di canyoning leggero, senza attrezzatura. Si cammina con i piedi in 10 cm di acqua calda sul fondo di un wadi, ogni tanto c’è un saltino o una cascatella da superare, mai più di un metro. Uno spasso. Uno spettacolo tanto bello quanto inaspettato perchè ci arrivi dal deserto. Entri in questa valletta anonima e riarsa, uguale a centinaia di altre. Lasci la macchina vicino a un rivoletto di acqua e inizi a camminare, pochi metri ed entri in una gola profondissima con le pareti verticali distanti non più di 4/5 metri e straripante di vegetazione. Pare impossibile… Ci passiamo diverse ore, compreso il tempo per la merenda al sacco con i piedi a mollo, sembriamo una gita di scolaretti a Gardaland, magico davvero. “Sbrissio” anche su una roccia e faccio un bagno fuori programma, che bello! Un altro tentativo di volare va a vuoto, così ci spostiamo a Kerak dove c’è un imponente castello crociato ancora in ottimo stato. Purtroppo ci arriviamo 10 minuti troppo tardi e l’ingresso è già chiuso. Ci tocca accontentarci di un tè alla menta nel bar di fronte. Visto che siamo un po’ in anticipo, visitiamo una moderna moschea che è di strada e che custodisce le spoglie di un cugino di Maometto. Per entrare le ragazze vengono fornite di una lunga tunica nera con zip e cappuccio. Un esempio del mix di moderno e antico che sperimenteremo durante tutto il soggiorno. Risaliamo in auto e puntiamo verso l’ hotel “Dana”, sarà il trasferimento più lungo della gita, un po’ pesante ma ne vale la pena perchè anche questo è un posto speciale. Una società alberghiera sta ristrutturando un intero villaggio del secolo scorso, che gli abitanti hanno abbandonato quando più a monte è stata costruita la strada. Le camere non sono altro che le vecchie abitazioni. C’è la moschea, le strade di acciottolato e decine di casette (moltissime ancora diroccate). In una delle costruzioni più grandi, con un giardino interno, sono state ricavate anche la sala da pranzo e i bagni. Fate conto di passare la notte nella Pompei del 79 d.c, senza Vesuvio però… Non aspettatevi comodità da 5 stelle: luce e acqua corrente sono già il massimo qui. Nella notte riceviamo una visita: ci raggiunge Gianfranco che aveva dovuto rimandare la partenza di 24 ore.
La mattina il gruppo è finalmente al completo e durante la colazione lo aggiorniamo dettagliatamente sulle meraviglie del giorno prima.
David dice che c’è un decollo sopra il villaggio e andiamo a vedere. Il posto è spettacolare, siamo su una sorta di terrazza naturale di 1500 m sui -400 del Mar Morto che è di fronte a noi, invisibile nella foschia del mattino. Purtroppo però l’esposizione è a ovest e a quell’ora del mattino sarebbe difficile fare più di una planata. Siccome là sotto atterraggi propriamente detti non ce ne sono, preferiamo soprassedere e ci spostiamo verso Shobak (chissà se questo si scrive così). E’ un posto piccolino ma il vento è buono e per alcuni la voglia di staccare i piedi su questa terra dai mille colori si è fatta incontenibile. Sarà una planata di 4 minuti scarsi ma una volta giù sono così entusiasti da volerci riprovare, così mi aggrego anche io al secondo round che durerà decisamente di più, diciamo 6 minuti… Poco lontano abbiamo intravisto le rovine di un castello crociato e dato che ieri è andata buca ci facciamo un salto. Una volta dentro ci sparpagliamo tra archi e cisterne alla ricerca del “passaggio segreto” cui ha accennato David e lo troviamo nella chiesa, dietro un altare. Michele, Massimo e Stefano tirano fuori le torce e lo percorrono per un tratto.
Riprendiamo la via verso sud che ci porterà a Little Petra. L’aspettativa è grande. Sulle note di viaggio questo è indicato come il sito di volo più bello. Malgrado il nome, Petra non si vede nemmeno: meglio così non ci guastiamo la sorpresa! Il decollo è abbastanza grande e pulito, è rivolto a sud e sotto c’è una grande piana a cui fanno da corona delle stranissime rocce che poi scopriremo essere di arenaria. Viste da quassù sembrano, come dire… degli enormi profiterol al cioccolato bianco! Le condizioni sono buone, si sta su bene ma c’è un fastidioso vento da ovest che rompe sia la termica che la dinamica e bisogna stare attenti. Niente cross ad ogni modo, al massimo qualche top.
Quelli che non volano, o che non bucano, restano a vedere il tramonto dalla cima, dove ci raggiungono anche gli altri. Poi con calma ci avviamo verso il campeggio…
Il sole è scomparso da poco, il cielo terso è ancora arancio vivido a ovest ma la notte incombe, quando arriviamo giù nella “piana dei profiterol” e con le auto prendiamo una sterrata che entra nel fondo piatto e sabbioso di un canyon. Le cime delle colline rocciose fiammeggiano mentre sotto è quasi buio. Procediamo per 500 m e un po’ di curve, poi le auto si fermano in un recinto. Ci siamo solo noi, perchè ufficialmente il camp aprirà il giorno dopo. Passiamo a piedi il cancello, aggiriamo un enorme masso e ci troviamo in una atmosfera… bah ci rinuncio, la sensazione provata non la posso esprimere. Vi descrivo il posto: nel fondo del canyon, chiuso su tre lati da queste enormi rocce arrotondate da sole e vento, ci sono tre grandi tende fiocamente illuminate. Al centro del piazzale arde un fuocherello col nostro tè di benvenuto. Torce e fari illuminano ad arte anfratti e fenditure in un chiaroscuro fiabesco. Il silenzio è rotto solo dalle nostre esclamazioni di meraviglia nello scoprire questo mondo mentre un anziano beduino ci accoglie. “Welcome in Jordan!”.
Doccia (bagni perfetti), pappa e poi a nanna che domani sarà dura. Quasi tutti dormono fuori, sotto le stelle.
Il giorno dopo è finalmente la volta di Petra. Di questo posto sapevo solo quello che si vede nel film di Indiana Jones, cioè meno di zero e, malgrado le precise spiegazioni di David non ero minimamente preparato a una cosa così. E’ ENORME! L’arrivo è forse quello che più emoziona, perchè c’è questa lunghissima e strettissima gola che sai già dove ti porterà, ma fai ogni curva col cuore in gola aspettandoti la vista del “Tesoro”. E quando alla fine ci arrivi resti incantato (e infatti allo sbocco della gola c’è sempre la ressa perchè tutti si fermano imbambolati, come i curiosi in autostrada). Ma il resto… è davvero difficile da spiegare se non ci sei stato. Cammini per chilometri, sali sulle montagne, scendi nelle gole, e ovunque, letteralmente ovunque , ci sono facciate, colonne, scalinate, fontane, costruzioni… Alcune levigate dal vento fino quasi a scomparire, altre ancora perfette dopo 2000 anni, che riverberano il sole nei mille colori del rosso e dell’ocra (che non so che colore sia ma mi pare che c’entra). Da perdersi… e infatti Gianfranco l’abbiamo perso e ritrovato solo fuori! Verso mezzogiorno la compagnia si separa: alcuni continuano la visita mentre altri provano a fare un secondo volo a Little Petra. Purtroppo dovranno rinunciare per il vento forte.
Dopo la seconda notte nel camp beduino e un’altra mezza giornata a scalare le montagne di Petra (impressionante la vista dal Monastero verso il Mar Morto con la tomba di Aronne, bianca, sulla vetta di un picco che pare inaccessibile) abbiamo ripreso la strada verso sud. Stavolta la meta era il mitico Wadi Rum, il deserto che porta in Arabia, teatro delle gesta di Lawrence… d’Arabia appunto. E’ un parco nazionale e si entra solo con i fuoristrada autorizzati. L’ingresso è proprio di fronte alla montagna resa celebre dal film “I sette pilastri della saggezza”. Ci vuole circa un’ora per arrivare al nostro alloggio, molto simile a quello che abbiamo lasciato la mattina: tende scure di lana pesante, disposte in circolo e addossate a una parete di roccia per ripararsi dal vento. Ovviamente nemmeno il tempo di scendere tutti dalle auto che i primi sono già partiti in esplorazione: chi scalzo sulla sabbia davanti alle tende, chi con gli scarponi pesanti sulle rocce dietro. In ogni caso il panorama era… sorry, ho finito gli aggettivi… Il Wadi Rum è un mare di sabbia di diversi colori da cui affiorano come relitti piccole rocce o intere montagne, talune lisce e paffute, altre scabre e taglienti. L’aria secca e il sole radente del sole basso rendevano l’atmosfera lunare.
Dopo il tramonto siamo andati a mangiare: la cena più buona del viaggio è stata estratta, letteralmente, da un’enorme pentolone a ripiani multipli che i nostri ospiti avevano sotterrato “in giardino”, ovvero davanti alle tende. Le abbondanti libagioni hanno scatenato anche il musico che è in Vladi, esibitosi in una performance audace di canzoni italiane con accompagnamento di uno strumento in legno, crine di cavallo e pelle di capra di cui non so nemmeno il nome e che lui suonava benissimo!
Quasi tutti abbiamo dormito fuori, tenendo però ben lontani quelli dal “respiro pesante”, tanto di spazio ce n’era.
La mattina sveglia presto perchè l’alba nel deserto non si può perdere, poi colazione e via in mezzo a sabbia e rocce, alla ricerca di un declivio da cui spiccare un voletto. Di salire in cima alle montagne più alte neanche a parlarne, ci accontentiamo di un modesto rilievo su cui fare un po’ di dinamica. Il primo posto che pare adatto è nel deserto bianco (lo chiamo così perchè la sabbia e le rocce lì erano chiarissime). Stendo la vela e gonfio ma dopo pochi secondi capisco che non è il caso di insistere: con sole due esse il vento mi ha portato 50 m più su e là arretro anche a mani alte. Insacchetto il tutto e ripartiamo. Vista la direzione del vento David ci porta nella “zona rossa” del deserto, un po’ più defilata, qui finalmente troviamo un posto adatto. Le rocce (che oltre che più scure sono anche decisamente più acuminate) formano un piccolo anfiteatro che il vento ha riempito di sabbia. Il dislivello è di una trentina di metri ma sufficiente per divertirci in quattro per un’oretta con gonfiaggi e trascinamenti! Quando siamo cotti e con l’attrezzatura ben piena di sabbia ripieghiamo e proseguiamo il giro. Ci arrampichiamo su uno stettacolare arco naturale in pietra e poi visitiamo la “casa” di Lawrence d’Arabia. Sulla via del ritorno, i nostri autisti si fermano vicino a un’imponente duna addossata a una parete. Si avviano dietro un anfratto e… ritornano con due snowboard!! La salita a piedi è una faticaccia e per la discesa le tavole avrebbero bisogno di una bella mano di sciolina, però vuoi mettere il gusto di fare “sandboard” nel Wadi Rum?
Torniamo alle auto e riprendiamo la via per l’ultimo tratto in direzione sud. Mancano ancora un paio d’ore al tramonto quando arriviamo a destinazione. Una veloce sosta in albergo per cambiarci e prendere l’attrezzatura e in men che non si dica siamo a fare snorkeling nel Mar Rosso, proprio di fronte alla penisola del Sinai! Quale posto migliore per lavar via la polvere del deserto?
L’alba dell’ultimo giorno ci vede in terrazza fronte piscina a far colazione. La mattina alcuni tornano a sbirciare i pesci, mentre io accompagno gli altri ad Aqaba per gli immancabili acquisti di fine vacanza.
Pranziamo in un locale libanese vicino al mercato della città. Siamo affamatissimi, il tempo di scendere dall’auto, salire una scaletta in ferro e siamo seduti, pigiati come sardine, su una terrazza che guarda la strada. Stiamo già ordinando quando qualcuno chiede: “Dov’è Frenky?” Ce lo siamo persi per la seconda volta!! Si era voltato un attimo giù in strada e gli siamo scomparsi sotto il naso. Recuperato il disperso, che stava già contrattando un passaggio via camion per Amman, e rimediato un tavolo più grande, che sennò toccava mangiare a turno, abbiamo fatto onore al cuoco. Non avevo mai mangiato libanese, ma credo che ripeterò l’esperienza appena possibile.
Per tornare ad Amman ci siamo poi avviati con calma lungo il confine con Israele (minato, attenti ai fuoricampo). Passato qualche rado check point, nel tardo pomeriggio abbiamo raggiunto il nostro compagno silenzioso di tutti questi giorni: il Mar Morto. Per accedere alla riva siamo entrati in una SPA perchè è indispensabile avere dell’acqua dolce a tiro quando esci. In pochi minuti diventeresti tale e quale un branzino al sale (notare la rima baciata involontaria). Io immagino che a questo punto se scrivessi “incredibile, bellissimo” o cose così qualcuno di voi penserebbe “che p…e, ancora!” così evito aggettivazioni iperboliche. Vi dico solo che pure questa è stata una scoperta, galleggiare con il 30% del corpo fuori dall’acqua senza muovere un muscolo non è frequente. Certo l’acqua è a di poco salatissima: chiederlo a chi ha avuto la ventura di beccarsi uno schizzo in un occhio o aveva qualche taglietto sulla pelle… però che storia! Siamo rimasti a mollo praticamente fino alla chiusura dell’impianto, e comunque fin dopo il tramonto, con le cupole di Gerusalemme lontane all’orizzonte.
Tornati ad Amman c’era da scegliere tra una cena in albergo o affidarsi ancora una volta a David… che ci ha portati in un locale alla moda del centro storico di Amman. All’ingresso due bodyguard e un metaldetector. Poi si passa per una biblioteca, su dalle scale ti accoglie un locale arredato in stile anni settanta e se prosegui ancora arrivi a una magnifica terrazza panoramica, con alti alberi e muri di case antiche a far da contorno. Abbiamo mangiato “italiano” tanto per riabituarci alle cose di casa ma con un bel narghilè sul tavolo.
Per la prima volta abbiamo bevuto alcolici e la mattina dopo, alle 4, qualche effetto si è visto, ma forse era la nostalgia per una settimana volata via anche volando poco 😉
Che dire ancora? Niente, che già l’ho tirata lunga che basta: il viaggio in Giordania è andato al di là di ogni aspettativa e credo che presto ci torneremo per scoprirne altri tesori, ci manca ancora un bel pezzetto da vedere!